Mozzarella nella Mortella
AREALE DI PRODUZIONE
Comuni del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
La denominazione mozzarella ‘co’ ‘a murtedda’ o ‘int’’a murtedda’ (con la o nella mortella) nasce dall’antica usanza di confezionare questo che, più che una mozzarella, è un caciocavallo freschissimo, alternando i pezzi di pasta filata a fronde di mirto - pianta aromatica tipica della macchia mediterranea, chiamato anche mortella - appena raccolte e legate alle estremità con i rami sottili e flessibili delle ginestre, nei cosiddetti "mazzi" o “fasci”, contenenti 6-10 mozzarelle. Quella di avvolgere il formaggio appena filato nella mortella con l’utilizzo di una pianta come il mirto, sempreverde e spontanea, facilmente reperibile nelle zone di pascolo del Cilento, era una vera e propria tecnica di conservazione e trasporto adottata dai pastori, oggi rimasta per conferire al prodotto l’aroma e il profumo inconfondibile di questo ‘packaging’ caratteristico e naturale.
Una particolarità della tecnica di lavorazione di questo formaggio - grasso, freschissimo, a pasta cruda, molle, filata, ottenuto dalla trasformazione del latte intero e pastorizzato di vacca - consiste nel portare il latte vaccino crudo (di una o due mungiture) a 36-38°C, a cui si aggiunge il caglio, e nel far maturare la cagliata, dopo la rottura, in assenza o quasi di siero, benché in alcuni casi è possibile unire anche un po’ di siero innesto, residuo della caseificazione del giorno prima che si utilizza per innescare i processi di fermentazione che danno origine a un formaggio. Tale tecnica conferisce al prodotto una consistenza compatta e asciutta, con una pellicola esterna (pelle) più spessa di quella della mozzarella. La cagliata si rompe in grani della dimensione di un chicco di mais e poi si ammassa per far fuoriuscire il siero, e si lascia acidificare per 12-24 ore, a seconda della stagione e delle temperature. La massa è quindi tagliata a listarelle spesse circa 1 cm e filata nell’acqua bollente, sollevandola e tirandola più volte con l’aiuto di un bastone. A filatura ultimata, si forma con le mani una piccola sfera, che poi si allunga e si appiattisce per ottenere la classica forma a lingua. Il formaggio, dalla pelle bianca o giallo paglierino chiarissimo, non ha crosta e la pasta è compatta, senza occhiature, leggermente fibrosa ed elastica, dal sapore dolce e delicato, e dall’odore caratterizzato da sentori lattici, di erba e note aromatiche vegetali tipiche del mirto fresco.
L’unicità dell’aroma lo rende un formaggio da tavola che non si presta ai classici usi della mozzarella, ideale se consumato freschissimo, servito nei tipici antipasti cilentani, ancora intramezzato dai rami di mirto, in abbinamento a salumi e giardiniere di olive, pomodori, sottoli, condito con extravergine e magari con un poco di origano, abbinato a vini prevalentemente locali, di uvaggio bianco, giovani e freschi, poco caldi, che forniscano una piacevole sensazione acida per contrastarne l'aroma delicato ma deciso (tra gli altri, Penisola Sorrentina DOC Bianco, da vitigni Falanghina, Greco bianco, Fiano, Biancolella, o Asprinio di Aversa).
Per tutelare questo formaggio è nato il Presidio Slow Food dedicato, sostenuto dall’Ente Parco Nazionale Cilento, Vallo di Diano e Alburni, con lo scopo di salvaguardare il lavoro dei pochi produttori artigianali che ancora presidiano la filiera, e di riportare nel territorio la vacca podolica, oggi frequentemente sostituita da altre razze.
GLI EVENTI DEDICATI ALLA MOZZARELLA NELLA MORTELLA
Cacioricotta caprino del Cilento
AREALE DI PRODUZIONE
Cilento
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) tipico della tradizione del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, e Presidio Slow Food, il Cacioricotta di Capra del Cilento è un gustoso formaggio derivato dal latte di una particolare specie di capra autoctona, denominata «Cilentana», che si ciba di macchia mediterranea, piccoli arbusti ed erbe. La qualità dei pascoli, rustici e genuini, conferisce complessità aromatica al prodotto, la cui lavorazione unisce le tecniche di coagulazione del latte caratteristiche sia del cacio sia della ricotta (da cui, appunto, prende il nome).
A bassa percentuale di grassi e alto contenuto di proteine, il Cacioricotta viene realizzato in maniera artigianale, portando ad ebollizione il latte di capra riscaldato, e lasciandolo, poi, raffreddare in modo naturale fino alla temperatura di 37 gradi, prima di aggiungervi il caglio di capretto. La cagliata viene rotta e successivamente raccolta e compattata nelle fuscelle, tipici cestini di vimini di forma cilindrica adatti alla fuoriuscita del siero. La salatura è a secco, fatta manualmente, strofinando sale fino su entrambe le facce del formaggio.
Il Cacioricotta di media stagionatura si presenta con crosta semidura, pasta bianca, compatta, con qualche occhiatura, gusto sapido di lattico cotto, erbaceo con media persistenza. Colore e sapore diventano più intensi quanto maggiore è il periodo di stagionatura, che, se prolungata, rende il formaggio particolarmente duro, compatto e scaglioso, leggermente piccante.
Fresco o mediamente stagionato, viene utilizzato come formaggio “da tavola”, anche da abbinare con miele, marmellate di agrumi e composte di frutta, come antipasto in taglieri di soli prodotti caseari o affiancato a salumi e a verdure di stagione, esaltato da gocce di olio extravergine di oliva intenso; quello più stagionato, spesso grattugiato o a scaglie, è l’immancabile tocco finale della pizza cilentana e dei piatti tradizionali di pasta, cavatelli e fusilli fatti a mano, conditi con sugo semplice o ragù di castrato. Il prodotto più fresco è esaltato nell’abbinamento con vini bianchi di medio corpo, come il Cilento bianco DOC, secco, dalle note fruttate e dalla buona struttura, prodotto da uve Fiano e Trebbiano, oppure Paestum IGT Fiano o Greco, profumati, ben strutturati e sapidi. Con il prodotto più stagionato ben si combinano i vini rossi, di buon corpo, maturi e abbastanza caldi, quali il Cilento rosso DOC, prodotto da uve Aglianico con aggiunta di uve Piedirosso e Primitivo, dal gusto pieno e dalla buona struttura, o il Paestum IGT Aglianico o Piedirosso, ben strutturati, dal colore rosso intenso e dai profumi eleganti.
Mozzarella di bufala campana DOP
AREALE DI PRODUZIONE
in Campania, intero territorio delle Province di Caserta e Salerno, e alcuni comuni delle province di Benevento (Limatola, Dugenta, Amorosi) e Napoli (Acerra, Giugliano in Campania, Pozzuoli, Qualiano, Arzano, Cardito, Frattamaggiore, Frattaminore, Mugnano)
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
La Mozzarella di Bufala Campana DOP ha una storia unica, fatta di un forte legame con la tradizione, ma arricchita anche da continue innovazioni, che ne fanno il formaggio più apprezzato e imitato al mondo.
Era un alimento semplice, ottenuto cuocendo latte crudo in un paiolo di ferro, in mezzo alla campagna… oggi è il risultato di una filiera fatta di cura e attenzione, che salvaguarda un sapore antico e rispetta i più moderni standard di qualità, unendo il passato e il presente, racchiudendo il buono della nostra terra…
Prodotto a Denominazione di Origine Protetta, garantito e promosso da oltre quarant’anni dall’omonimo Consorzio di Tutela, la Mozzarella di Bufala è un formaggio fresco a pasta filata prodotto esclusivamente con latte di bufala, di cui mediamente occorrono 4,2 litri per produrne un chilogrammo.
Particolarmente ricca in grassi e proteine, la mozzarella - oltre alla materia prima - ha nella filatura un altro elemento di tipicità: la pasta del formaggio viene lavorata a mano con acqua bollente fino a farla ‘filare’ per conferire al prodotto la sua consistenza e il caratteristico ‘bouquet’ determinato dalla microflora particolare che si sviluppa durante le varie fasi della lavorazione. L’operazione di filatura è effettuata mediante l’utilizzo di un mestolo e di un bastone, entrambi in legno, con cui si solleva e si tira ripetutamente la pasta fusa fino ad ottenere un impasto omogeneo. Segue poi la formatura, eseguita ancora a mano in molti caseifici, con la tradizionale mozzatura, che il casaro effettua con il pollice e l'indice della mano. Le mozzarelle vengono poi lasciate raffreddare in vasche contenenti acqua fredda e infine salate. La crosta è sottilissima e di colore bianco porcellanato, mentre la pasta non presenta occhiature, leggermente elastica nelle prime otto-dieci ore dalla produzione, e poi sempre più fondente.
La Mozzarella di Bufala Campana DOP ha la classica forma tondeggiante di bocconi, bocconcini, perline, ciliegine, ovoline, ma il disciplinare prevede anche altre forme tipiche, come le trecce o nodini. Il peso è variabile tra 10 e 800 g, e fino a 3 kg per la forma a treccia.
E’ dall’operazione della mozzatura che pare derivi il nome ‘mozzarella’; il termine ‘mozzare’ appare per la prima volta in un testo di cucina citato da un cuoco della corte papale del XVI secolo, ma è già dal XII secolo che è tracciata l’usanza praticata dai monaci benedettini del monastero di San Lorenzo in Capua (CE) di offrire, per la festa del santo patrono, una “mozza” o “provatura” accompagnata da un pezzo di pane. Mentre è ancora disquisita l’origine del bufalo indiano o bufalo d'acqua (Bubalus bubalis) da cui si ricava il latte (1. autoctona. basata su ritrovamenti di bufalo italiano nel Lazio e nell’isola di Pianosa risalenti al quaternario; 2. introdotto dai Longobardi, sulla base del documento delle Leges Longobardorum, tuttavia, i “bubali” dalle lunghe corna citati potrebbero essere in realtà dei bovini di razza podolica, allora sconosciuti in Italia, ed è dunque probabile che anche all'epoca delle invasioni barbariche si perpetuasse l'equivoco del “bufalo”, termine con i quali i Romani indicavano in genere tutti i bovini selvatici, inclusi i buoi. 3. la più probabile, che fa risalire l'introduzione del bufalo in Italia agli Arabi: dopo le glaciazioni, infatti, l'habitat di questo animale venne confinato all'India e, successivamente, alla Mesopotamia; mentre, in Italia, esistono prove inconfutabili della presenza del bufalo a partire dal X secolo, sia nei documenti che sotto forma di resti; secondo gli studiosi, dunque, furono i Saraceni a introdurre il bufalo, dapprima in Sicilia e successivamente, in epoca sveva e normanna, nell'area campana), sicuramente i Borboni prestarono molta attenzione al suo allevamento tanto da crearne uno nella tenuta reale di Carditello dove, nella metà del '700, insediarono anche un caseificio. Nella piana del Volturno ed in quella del Sele esistono ancora le antiche bufalare, costruzioni circolari in muratura con al centro un camino per la lavorazione del latte e con piccoli ambienti addossati alle pareti destinati all’alloggio dei bufalari. Particolarmente caratteristica è quella presente presso l’azienda agricola sperimentale Improsta ad Eboli, di proprietà regionale.
Manteca del Cilento PAT
AREALE DI PRODUZIONE
Cilento
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
Prodotto Agroalimentare Tradizionale campano, la Manteca è un formaggio di latte di vacca molto simile al burrino, con la parte esterna di pasta filata morbida ed elastica, di colore bianco che può tendere al giallo paglierino con la breve stagionatura, che racchiude un cuore di burro, a pasta cremosa bianca, prodotta con una tecnica particolare. E’, infatti, il risultato della lavorazione del siero residuo della lavorazione della cagliata riscaldato alla temperatura di 75-80°, fino all’affioramento della “prima ricotta”. Una volta raccolti, i fiocchi vengono messi a riposare per circa mezz’ora dentro recipienti appositi, prima di essere posti a sgrondare per un intero giorno su teli di cotone. La massa di ricotta spurgata viene di nuovo trasferita in un recipiente di legno e lavorata a mano, aggiungendo acqua fredda per separare il grasso che affiora a poco a poco dal resto del siero. Rassodato il grasso, gli si dà una forma sferica o allungata e lo si lascia raffreddare in acqua fredda dove viene ulteriormente lavorato per eliminare l'acqua residua. Infine, la manteca modellata a mano viene inserita nel fiaschetto di pasta filata, e sottoposto a salatura in salamoia per circa 12 ore.
Le antichissime origini del prodotto sono collegate all'esigenza di conservare il burro (‘manteca’ in spagnolo vuol dire ‘burro’) dalla primavera-estate quando veniva prodotto, fino all'autunno, quando i pastori transumavano a valle. Oggi che non è più necessario ricorrere a questo metodo, la sua produzione è rimasta unicamente per soddisfare la richiesta gastronomica.
Il sapore è dolce e delicato; l’aroma è di tipo lattico fresco (burro), con intensità e persistenza basse; la struttura del prodotto risente della diversa consistenza delle due parti, ma si può globalmente descrivere come abbastanza molle, poco elastica, grassa e leggermente adesiva. Formaggio da tavola, accompagnato con pane casereccio, arricchito con l’aggiunta di acciughe in olio extravergine d’oliva, è ottimo come antipasto o come secondo piatto, anche associato a insalate di verdure fresche condite con olio EVO e una macinata di pepe, oppure è l’ingrediente ideale per il condimento e la mantecatura di pasta e risotti, dei quali si può terminare la cottura aggiungendo le scaglie dell’involucro esterno, che torneranno filanti, amalgamando al meglio tutti gli ingredienti del piatto. Tradizionalmente si abbina a vini bianchi del territorio, di buona struttura, freschi, abbastanza caldi.
Juncata o Giuncata
AREALE DI PRODUZIONE
Cilento
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
Nel Cilento la Giuncata è tradizionalmente legata al giorno dell’Ascensione, festività che cade quaranta giorni dopo il sabato di Pasqua e ricorda, secondo i canoni cristiani, la salita al cielo di Gesù Risorto. L’antica tradizione tramanda che in questa giornata i pastori donavano il latte delle loro capre, pecore o mucche: la mattina del giorno dell’Ascensione i bambini, ma anche gli adulti, ‘andavano a latte’, e - muniti di un contenitore - si recavano nelle case dei pastori e ricevevano in dono una quantità di latte che era offerto loro con gioia, perché la tradizione religiosa vuole che chi lo riceveva lo considerasse benedetto, e chi lo donava avrebbe avuto una maggiore produzione dai suoi armenti, al motto di “Chi più dà, più riceve!”. Col latte avuto in dono si usava preparare la “giuncata”, delicato e semplicissimo formaggio ottenuto dal latte cagliato posto in un cestello di giunchi intrecciati a mano (da cui il nome di giuncata) dal quale si lasciava sgocciolare il siero. In alternativa al latte fresco, un tradizionale piattino di giuncata, adagiata in mezzo alle foglie smerlettate di felce, e servita con un pizzico di sale o zucchero, a seconda dei gusti, veniva offerto alle persone del vicinato quale delicato gentile assaggio.
Formaggio antichissimo, già citato da Teocrito, viene ancora oggi prodotto artigianalmente, rispettando le antiche metodologie. Il latte crudo di una sola munta viene filtrato con un telo di cotone, riscaldato alla temperatura di 32-38° e addizionato con caglio di vitello. La cagliata viene lasciata in sosta e successivamente riposta nei giunchi, per dar vita a un formaggio privo di crosta, di colore bianco, dalla pasta umida, dalla consistenza morbidissima, che lo rende uno dei freschi per eccellenza, da consumare immediatamente dopo la produzione, in purezza, oppure accostato a miele di acacia, predilige un vino bianco di bassa gradazione.