Cipolla di Eremiti
AREALE DI PRODUZIONE
Eremiti, frazione del comune di Futani, e comuni viciniori
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
La coltivazione della Cipolla di Eremiti venne introdotta nel Cilento dai monaci Italo-greci insediatisi secoli fa presso l’Abbazia di Santa Cecilia. La perseveranza dei contadini locali ha permesso che il seme arrivasse fino ai giorni nostri, scongiurando la perdita totale della varietà, che, adattata ai terreni locali, ha trovato la sua collocazione nel territorio di Eremiti per la giusta esposizione al sole e l’irrigazione che avviene con le acque sorgive del luogo. Ortaggio prelibato e genuino, dal gusto morbido e rotondo, in passato la Cipolla ha costituito per i contadini del posto moneta di scambio ed era ricercata da tutti i paesi vicini durante il giorno del mercato. Le stagioni scandiscono i tempi della coltura: a settembre bisogna preparare il seme in semenzaio, a novembre trapiantare le piantine nel terreno, in solchi paralleli e distanti, e a luglio effettuare la raccolta. Una volta scavato dal terreno, il bulbo, completo della parte apicale delle foglie, viene sapientemente intrecciato, appeso e conservato in cantina per l’essicazione e l’utilizzo nei mesi successivi, per coprire il fabbisogno familiare durante tutto l’anno.
Con il suo colore rosso-rosaceo e la forma a fiaschetto, si presenta in una pezzatura più grande rispetto alle altre specie, e grazie al sapore dolciastro e poco pungente che la rende estremamente versatile in cucina, la Cipolla ‘rimitara’ può essere impiegata nella realizzazione di zuppe, in minestroni di fagioli o con la zucca, nelle pizze fritte con il tonno, o con lo spezzatino, o ancora, come tradizione culinaria vuole, rivisitata in chiave moderna, ed impiegata nella realizzazione di piatti più elaborati.
Cipolla di Vatolla
AREALE DI PRODUZIONE
Vatolla, frazione del comune di Perdifumo, e comuni viciniori
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
Un tesoro arrivato a Vatolla - l’antichissima Viculus Vatulanus - dall’Oriente, portato dai monaci basiliani in fuga dalle persecuzioni iconoclaste dopo l’anno mille, e che - grazie all’impegno delle donne del posto solidamente e solidalmente impegnate a preservarne la tradizione e la coltura - si è tramandato di generazione in generazione, fino a divenire un emblema della biodiversità mediterranea.
Frutto di terreni fertili e argillosi, particolarmente vocati e dall’ottima esposizione, a metà fra la frescura collinare e la brezza del mare, in quella che il giovane Giambattista Vico - durante il suo soggiorno a Vatolla, nel Palazzo De Vargas come precettore dei nobili Rocca - definì "perfettissima aria”, la cipolla di Vatolla viene seminata in periodo autunnale/invernale, con rotazioni biennali (alternata a pomodori, fagioli, fave), e per la sua salutare crescita, durante il periodo di circa sette mesi in cui dimora nel terreno, necessita di molta acqua, che tradizione vuole attinta alle numerose sorgenti presenti o dalle peschere (cisterne che raccolgono le acque meteoriche). Occorreranno, poi, circa cinque o sei passaggi in campo per eliminare le erbe antagoniste che devono essere effettuati rigorosamente a mano, richiedendo un grande dispendio di lavoro e di tempo. Come la semina e il processo di diserbatura, anche a raccolta della Cipolla è manuale: inizia alla fine di giugno e si conclude nella prima decade di agosto, periodo in cui viene organizzata la tradizionale festa che la celebra.
Una volta raccolte, definite dalla natura nella loro forma a trottola o allungate, le cipolle vengono lasciate qualche giorno sul terreno per consentire alle loro lunghe code di seccare naturalmente ed essere quindi pronte nel momento in cui sapienti mani le intrecciano all’alba, quando le foglie sono umide e non rischiano di rompersi, per poi essere deposte in ordinati mazzetti ad asciugare all’aria, e successivamente appese in luoghi areati, al riparo dalla pioggia e dall’umidità.
La pezzatura medio-grande, il colore bianco-rosato, il profumo delicato e il sapore molto dolce, oltre alla produzione limitata, ne fanno un vero e proprio prodotto di nicchia, molto apprezzato e richiesto, e consumato quasi esclusivamente nel mercato locale. Infatti, la quasi totalità della produzione delle pochissime aziende agricole che la coltivano viene venduta nel giorno dedicato alla fiera della Madonna del Carmine, che si svolge la penultima domenica di luglio nella frazione di Mercato Cilento, e che - oggi, come cento anni fa - è l’occasione per i cilentani per farne scorta.
Perfetta d’estate, in una fresca insalata con i pomodori ed il sedano, a cui concede in un connubio di gustoso sapore le sue note delicate ed eleganti, è squisita anche cotta, nella frittata con l’aggiunta di cacioricotta cilentano, senza dimenticare che è l’ingrediente fondamentale del tradizionale “susciello di cipolla”, una zuppa in cui viene condita con olio extravergine e pecorino, o della ciambotta cilentana, stufato di cipolla, melenzane, peperoni, patate e pomodoro, oltre a trionfare negli abbinamenti con il pesce azzurro. Golosissima arrostita sotto la cenere, insieme a patate ed altre verdure.
Non si conserva molto a lungo, una piccola quantità è, quindi, trasformata in composte per consentirne il consumo anche fuori stagione.
Consapevoli della preziosità della loro cultivar, i produttori si sono riuniti nell’omonima Associazione e, oltre alla coltivazione del prodotto e alla sua valorizzazione anche mediante i riti popolari legati alla cipolla, come la festa della semina e della messa in campo delle piantine (a gennaio), dell’intrecciatura (a giugno) e della Cipolla di Vatolla (a luglio e agosto), hanno coronato il percorso di riconoscimento e di promozione con l’attivazione del Presidio Slow Food, il cui obiettivo è quello di aumentare la conoscenza di questa varietà locale e valorizzarne la coltivazione nei piccoli orti familiari, fatta nel rispetto dei principi dalla produzione integrata o biologica, rafforzando la comunità locale e il suo legame con il territorio.
Cicoria selvatica
AREALE DI PRODUZIONE
Cilento
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
La cicoria selvatica, definita tale poiché cresce allo stato brado, è una delle erbe di campo più conosciuta e impiegata nella preparazione di ricette della cucina contadina cilentana, come la tradizionale minestra di cicoria, legata alla leggenda della Madonna che fece uso di questa pianta dal sapore tipicamente amaro dopo la morte di Gesù.
Raccolta a partire da dicembre fino a primavera, periodo in cui a causa della fioritura le foglie perdono le loro caratteristiche, è una pianta dalle foglie verdi, allungate e dal margine seghettato, rinomata per i suoi effetti salutari, avendo proprietà depurative e rinfrescanti. Per il sapore estremamente amaro delle sue foglie, la cicoria viene annoverata proprio tra le piante amiche del fegato, come della cistifellea, di cui stimola e tonifica le funzionalità. Per scongiurare il rischio di confondersi nella raccolta, la cicoria selvatica è facilmente identificabile grazie al suo fiore blu indaco, anch’esso legato ad una leggenda che ha origini in Romania, dove si narra che il sole, innamoratissimo di donna Floridor, le fece un giorno la proposta di matrimonio; al rifiuto della ragazza il sole si irritò molto, e per vendicarsi, la trasformò nell’indaco fiore di cicoria, che ha la particolarità di essere rivolto verso il sole dal momento in cui l’astro appare nel cielo, e di richiudere i petali nel momento in cui tramonta, quale simbolica vendetta sulla ragazza, così condannata a fissarlo per sempre. Per questa caratteristica, che non appartiene solo alla leggenda, la cicoria ha meritato in botanica il nome di sponsa solis, ovvero “sposa del sole”, a ribaltamento del soprannome “bruttona” derivatole dal suo aspetto selvatico. Una pianta talmente datata nel tempo da essere menzionata da Plinio il Vecchio nei suoi scritti risalenti al 1550 a.C., tanto brutta quanto apprezzata sin dall’antichità per tutte le sue proprietà terapeutiche, e finanche sostituta del caffè quando, ai tempi di Napoleone, le navi inglesi che lo trasportavano erano state bloccate.
Un’altra leggenda vuole che, raccogliere la cicoria, senza sradicarla, ma con una moneta d’oro nelle mani, nel giorno dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, assicuri un amore corrisposto.
Marrone di Roccadaspide IGP
AREALE DI PRODUZIONE
La zona è localizzata nell'areale del Cilento, coincidente con il territorio del Parco del Cilento e Vallo di Diano, al di sopra dei 250 m. slm.
CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
La presenza dei castagneti sul territorio di Roccadaspide fin da tempi antichi è testimoniata dai manoscritti conservati nell'archivio della Badia di Cava, risalenti all’XI secolo d.C., da cui si evince l'esistenza già nel 1183-84 di castagneti posseduti dalla Badia nel Cilento, talmente vasti da richiedere la presenza sul posto di un apposito amministratore.
Nel tempo l’importanza assunta dalla produzione per il territorio si è confermata in epoca medioevale e fino al tardo ‘800, mediante l’aumento della domanda di farina di castagne, considerata una vera e preziosa risorsa, impiegata per produrre il pane e con il pregio di potersi conservare a lungo. Alla fine dell’‘800 i castagneti esistenti vennero capitozzati e reinnestati con le talee degli ecotipi cosiddetti della "Rocca", oggi identificati con il Marrone di Roccadaspide, in funzione sia della elevata produttività della pianta che dei caratteri pregevoli dei frutti, determinando una svolta qualitativa per la produzione nel territorio.
Dalla forma prevalentemente semisferica, a volte rotondeggiante, il Marrone di Roccadaspide ha la buccia sottile e di colore castano bruno, tendenzialmente rossastra, con strie scure poco evidenti, facilmente distaccabile, che racchiude la polpa bianco-lattea e consistente del seme. Per il notevole contenuto zuccherino il Marrone è molto gradito nel consumo allo stato fresco, ed è oggetto di richiesta per la lavorazione industriale, che lo impiega principalmente nella produzione di marron glacés, marmellate, castagne al rum, puree. Altrettanto deliziosi sono i primi piatti e i dolci della tradizione locale che lo utilizzano come materia prima di qualità, dalla zuppa di castagne e fagioli, alle pastorelle o castagnelle ricoperte di miele, e, non per ultimo, in cottura per le caldarroste in padella sulla brace o come ballotte, bollite e aromatizzate con foglie d’alloro.